Due bellissimi libri di un'arabista
italiana, Elvira Diana: La letteratura della Libia. Dall'epoca coloniale ai nostri giorni (2008)
e L'immagine degli
italiani nella letteratura libica dall'epoca coloniale alla caduta di
Gheddafi, Istituto per l'Oriente
C.A.Nallino, Roma 2011 (cerca
“Novità editoriali” in questo sito )
Ci sono delle scoperte che, pur se
rifiuto ogni forma di nazionalismo e mi innervosisco per la retorica
(quella cattiva, non quella buona, aristotelica!) con cui i miei
amici spagnoli parlano dell'arte e della cultura del mio paese
d'origine, non dandosi conto delle regressione culturale e politica
che c'è stata in questi decenni e che ora minaccia anche la Spagna:
ci sono delle scoperte, dicevo, che fanno nascere in me un insano (o
in qualche caso giusto?) orgoglio italiano.
Una di queste è costituita dai due
libri dell'arabista Elvira Diana che ho citato sopre. In questo post
parlerò del primo.
Gli studenti e chiunque desideri
conoscere qualcosa della letteratura dei paesi arabi, hanno a
disposizione, in Italia e in Spagna, alcuni manuali - in Italia mi
pare che ce ne siano dippiù - alcune pregevoli antologie, molte
monografie e traduzioni. Però questi testi o si rivolgono ad aspetti
specifici della letteratura araba, oppure a singoli autori.
Elvira Diana è la prima che abbia proposto in un'opera il racconto di una letteratura nazionale: di una nazione che è nata dall'unione forzosa di territori abbastanza diversi , imposta dal colonialismo italiano. La scelta dell'arabista non è solo diretta a illustrare neutralmente la produzione letteraria dei libici nel XX e nel XXI secolo, ma soprattutto a restituire un volto, un pensiero complesso, una storia anche personale a coloro che sono stati massacrati o anche “semplicemente” oppressi nei trentadue anni della nostra avventura coloniale.
Elvira Diana è la prima che abbia proposto in un'opera il racconto di una letteratura nazionale: di una nazione che è nata dall'unione forzosa di territori abbastanza diversi , imposta dal colonialismo italiano. La scelta dell'arabista non è solo diretta a illustrare neutralmente la produzione letteraria dei libici nel XX e nel XXI secolo, ma soprattutto a restituire un volto, un pensiero complesso, una storia anche personale a coloro che sono stati massacrati o anche “semplicemente” oppressi nei trentadue anni della nostra avventura coloniale.
L'anno scorso, dietro la spinta dei
cent'anni dall'inizio di questa atroce storia, dello sciagurato
accordo fra Gheddafi e Berlusconi sui respingimenti dei ragazzi
dell'Africa sub-sahariana, che, come si sa, ha portato giorno dopo
giorno a insopportabili violazioni dei diritti umani, e infine della
rivoluzione-guerra in Libia, sono nate in Italia molte iniziative,
per portare in un ambito più ampio di quello specialistico e
accademico una riflessione sul colonialismo italiano e su ciò che ne
è seguito. Un gruppo di amiche e ricercatrici di Bergamo, in
collegamento con la Tavola della Pace, ha condotto sull'argomento
riflessioni e dibattiti nella città e in altri luoghi, in scuole di
diverso grado, con gli studenti e con gli insegnanti, raccogliendole
in un volume.
Frequentando, purtroppo in età
tardiva, il corso di Estudios árabes e islámicos nell'Università
di Cadice, mi sono collegata a loro, per approfondimenti specifici
sul tema del colonialismo italiano in Libia. Ho pensato però che mi
sarebbe piaciuto conoscere l'opera di qualche scrittore libico. Non
riesco a sopportare l'orrore allo stato puro. Ho bisogno di darmi
conto di come erano le persone che sono state vittime di sterminio e
di prepotenze, di affezionarmi a qualcuna di loro, di sentirle
vive.
Perciò ho chiesto aiuto ai miei professori della facoltà di Cadice: nessuno ha saputo darmi indicazioni. Anche le mie amiche che si occupano di storia del colonialismo italiano in Libia, non immaginavano che ci fosse una produzione letteraria in questo paese.
Perciò ho chiesto aiuto ai miei professori della facoltà di Cadice: nessuno ha saputo darmi indicazioni. Anche le mie amiche che si occupano di storia del colonialismo italiano in Libia, non immaginavano che ci fosse una produzione letteraria in questo paese.
Cerco in internet … e trovo il primo
libro di Elvira Diana.
Quando mi è arrivato dall'Italia,
sfogliandolo, mi sono accorta con stupore della ricchezza di questa
letteratura e anche di una consonanza che ho sentito subito con
l'autrice: ho sempre pensato che le letterature non sono – come si
insegna troppo spesso oggi agli studenti – insiemi di “oggetti
estetici”, ma stratificazioni di sentimenti, pensieri, speranze e
dolori, che certo, anche attraverso scelte formali e strutturali, ci
comunicano storie, visioni della vita.
Quello che fa Elvira Diana, attraverso
la sua narrazione di questa letteratura, inframmezzata di moltissimi
passi tradotti, è proprio restituire un volto e una condizione umana
a chi ne è stato privato, riscattare questa terra (o queste terre,
non importa) dall'insignificanza della non storia, dalla presunta
immobilità di una natura senza cultura, e i loro abitanti dalla
condizione di mere vittime della prepotenza e violenza del
colonialismo italiano. La storia delle tragedie del XX secolo, se
lasciata da sola, pur se pietosa e giustamente critica e autocritica,
rischia di lasciare che le vittime siano tutte uguali fra loro, corpi
di persone massacrate. Una memoria in cui gli oppressi non mostrano
il loro volto individuale, è fragile: una sorta di istinto di
autodifesa ci impedisce di commuoverci a lungo pensando ai cumuli di
morti anonimi.
Ci
si può chiedere se una storia letteraria in relazione a nazioni nate
in tempi recenti, talvolta con confini artificiali imposti
precedentemente dal colonialismo europeo, abbia lo stesso senso che
ha avuto per noi la storia letteraria italiana, o francese o spagnola
etc. (con questo non
voglio dire che la nascita e il consolidamento delle nazioni europee
sia stato un processo gentile e pacifico).
L'arabo
classico,
pur con curvature che in
certi casi possono
avvicinarlo
alle lingue
arabe parlate nelle
diverse regioni, è
tuttora usato
nelle scritture di quasi tutti gli autori: perciò,
diversamente che in Europa, le letterature nazionali non sono marcate
tanto dalla lingua quanto dall'ambiente, inteso sia come
paesaggio naturale, sia, soprattutto come contesto storico e
politico.
È ovvio che, nel caso della Libia, si parla di una nazione e di una letteratura nazionale che sono state definite come tali dall'aggressione esterna, dal colonialismo italiano che ha forzosamente portato a un'unità politica territori diversi, nella natura e soprattutto nella storia: la Tripolitania, la Cirenaica e il Fezzan. Però ciò non toglie legittimità alla nozione di “letteratura libica”, che nel XX secolo nasce da una storia comune, pur se assai tormentata e che non ha cessato neppure ora di esserlo.
È ovvio che, nel caso della Libia, si parla di una nazione e di una letteratura nazionale che sono state definite come tali dall'aggressione esterna, dal colonialismo italiano che ha forzosamente portato a un'unità politica territori diversi, nella natura e soprattutto nella storia: la Tripolitania, la Cirenaica e il Fezzan. Però ciò non toglie legittimità alla nozione di “letteratura libica”, che nel XX secolo nasce da una storia comune, pur se assai tormentata e che non ha cessato neppure ora di esserlo.
Nella Premessa dell'opera, l'autrice
così si esprime:
La
produzione letteraria della Libia […] è quasi completamente
ignorata, soprattutto in Italia, e il numero delle opere tradotte
nella nostra lingua è davvero esiguo […] Questa mancanza di
interesse da parte degli studiosi e dell'editoria, se appare grave
per gli europei in generale, lo è ancora di più per gli italiani,
considerata la storia recente dei due paesi. Per capire il paradosso,
sarebbe come se in Francia non si pubblicassero libri di autori
algerini.
[…]
Dallo
scontro militare e umano tra colonizzatori e colonizzati, infatti, è
scaturito anche un incontro umano, sebbene questo sia stato
unilaterale: ovvero, da parte libica, si è cercato di conoscere
l'altro, l'italiano, attraverso la traduzione di diverse
opere, grazie all'attività meritoria di molti intellettuali, tra cui
Halīfā al-Tillīsī, mentre non si può dire che l'Italia abbia
fatto altrettanto. (E.Diana, cit., pp.9-10)
Richiamo di seguito alcuni dei motivi
avvincenti e insoliti presenti nel libro.
L'autrice descrive il “sistema d'istruzione” che era presente nelle regioni della Libia pre-coloniale: scuole realizzate sia ad opera di un movimento religioso e insieme sociale interno all'Islam, però con proprie peculiarità – il movimento senūsī, - di cui fu parte e guida il famoso martire 'Umar al-Muktar, impiccato dagli italiani quando era già anziano –, sia ad opera dell'Impero turco e di minoranze religiose (ebrei e poi cattolici, che iniziavano la penetrazione nella regione anche fondando proprie scuole). A questo movimento dedicherò qualche parola in più in un prossimo post.
L'autrice descrive il “sistema d'istruzione” che era presente nelle regioni della Libia pre-coloniale: scuole realizzate sia ad opera di un movimento religioso e insieme sociale interno all'Islam, però con proprie peculiarità – il movimento senūsī, - di cui fu parte e guida il famoso martire 'Umar al-Muktar, impiccato dagli italiani quando era già anziano –, sia ad opera dell'Impero turco e di minoranze religiose (ebrei e poi cattolici, che iniziavano la penetrazione nella regione anche fondando proprie scuole). A questo movimento dedicherò qualche parola in più in un prossimo post.
L'autrice
parla anche della nascente stampa, dei primi giornali e libri libici,
la cui pubblicazione fu stroncata dai rozzi dominatori italiani.
La nahdah (si intende con questo termine il “risorgimento” della letteratura araba, e delle letterature arabe, che si fa coincidere con la crisi dell'impero ottomano e con il sorgere di complicate spinte nazionalistiche e spesso panarabe, soprattutto a partire dalla metà del secolo XIX) arrivò nel Nord Africa in ritardo soprattutto rispetto a ciò che era avvenuto in Egitto. In Libia non fece a tempo a svilupparsi, perché fu presto stroncata dalla repressione italiana. Una repressione feroce e idiota, un colonialismo che, a differenza di quelli, pur non pacifici e in molti casi duri e sanguinari, inglese e francese, considerò quasi unanimemente i colonizzati come esseri inferiori e infidi e non si curò di coltivare, persino nel proprio interesse, gruppi dirigenti e intellettuali dei paesi dominati. L'autrice spiega che solo la poesia, per lo più lirica, di dolore e denuncia, riuscì a sopravvivere sfuggendo almeno in parte alla censura e alla persecuzione, e ci parla dei poeti più interessanti del tempo, riportando passi delle loro composizioni.
La
narrativa nacque con la fine del colonialismo e nella ricca
rappresentazione che, nelle sue diverse forme, ne propone Elvira
Diana
– dal racconto breve, al racconto, al romanzo - e nei numerosi
esempi che propone al lettore, si può leggere l'ansia degli
scrittori libici
di raccontare del proprio recente passato, di autorappresentarsi e
rappresentare l'oppressione nelle sue diverse articolazioni e nelle
vicende degli oppressi che
hanno attraversato in modo diverso e con diversi esiti quei decenni.
Tra gli autori di romanzi che spiccano nelle pagine de La letteratura libica, mi piace ricordare Husayn Zafir ibn Musā, che racconta nel suo romanzo Mabrukah una storia di eroica resistenza contro i dominatori italiani, di amore e di morte. E poi Ibrāhīm al-Kawnī, che tematizzano la vita beduina, nel deserto, contrapposta a quella dei contadini: ... i romanzi di al-Kawnī, accanto auna dimensione puramente araba, ne acquistano una africana, estendendosi alle zone desertiche al di là degli attuali confini libici, fino ai limiti meridionali del Sahara, dove gli antichi riti degli stregoni si mescolano al messaggio islamico. [...] I nomadi dei romanzi di al-Kawni si muovono tra Tripoli, Gadāmis, al-Qayrawān, Kanu, Timbuktù (cit., p. 121- 122).
Tra gli autori di romanzi che spiccano nelle pagine de La letteratura libica, mi piace ricordare Husayn Zafir ibn Musā, che racconta nel suo romanzo Mabrukah una storia di eroica resistenza contro i dominatori italiani, di amore e di morte. E poi Ibrāhīm al-Kawnī, che tematizzano la vita beduina, nel deserto, contrapposta a quella dei contadini: ... i romanzi di al-Kawnī, accanto auna dimensione puramente araba, ne acquistano una africana, estendendosi alle zone desertiche al di là degli attuali confini libici, fino ai limiti meridionali del Sahara, dove gli antichi riti degli stregoni si mescolano al messaggio islamico. [...] I nomadi dei romanzi di al-Kawni si muovono tra Tripoli, Gadāmis, al-Qayrawān, Kanu, Timbuktù (cit., p. 121- 122).
E ancora, Ahmad Ibrāhīm al-Faqīh, di cui l'autrice ci dice che
Il
suo ultimo lavoro è ...una voluminosa opera di oltre duemila pagine,
Harā'it
al-rūh (La
mappa dello spirito)[...]. Harā'it
al-rūh richiama
le grandi epopee del passato: per estensione e ricchezza della
trama, infatti, secondo alcuni studiosi, quest'opera rientra
nell'ambito delle espressioni della letteratura mondiale, attuali e
passate, occidentali e orientali, come Alf
laylah wa laylah [Le
mille e una notte],
il Decamerone,
Don Chisciotte,
la Divina
Commedia,
Amleto,
Morte a Venezia,
Guerra e pace.
E, come queste, coinvolge completamente il lettore... (cit., pp. 118-
119)
Il libro è di 160 pagine: quando si
finisce di leggerle, si resta stupiti dalla folla di personaggi e di
situazioni che lo hanno percorso e si sono messi a camminare nella
nostra mente.
Elvira
Diana dedica un capitolo del libro alle donne libiche scrittrici,
tutte impegnate nel processo di emancipazione della metà del cielo e
in un ultimo capitolo,
“L'incontro con l'Occidente: circoli letterari e ruolo delle
traduzioni” ci racconta,
ancora una volta sorprendendoci, del
confronto che si è
sviluppato fra intellettuali libici
con la cultura e i “valori” dell'Occidente, degli stessi paesi
colonialisti. Ciò però è avvenuto con notevole ritardo in Libia,
se si rapporta all'Egitto e ad altri paesi arabi, a causa della
rozzezza e della durezza del colonialismo italiano. E, nonostante
tutto,
c'è stato e c'è interesse a opere di scrittori italiani che sono
stati tradotti in arabo: Dante, Machiavelli, Pirandello...
Ultima
considerazione: scoprendo i libri di Elvira Diana, che è anche
traduttrice di narrativa araba, mi sono imbattuta nel
titolo di un'antologia che cercherò di procurarmi al più presto: Narratori della Libia contemporanea. Raccolti scelti da Laura Passavanti; a cura di I.Magdud.
Certi libri sono come le ciliegie.
La
prossima volta parlerò del secondo libro di Elvira Diana che ho
citato all'inizio.
nv
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